giovedì 3 novembre 2016

Il rito come mezzo e non come fine

Questo giorno dei morti è stato diverso dagli altri, gli altri anni infatti avevo sempre impostato tutto in maniera "festosa" o "rituale". L'attenzione era posta tutta al decorare casa con teschi, simboli del Dia de los Muertos, qualcosa ricordante Halloween, vedere film di terrore e video su ritualistiche che mi affascinavano. Lo stesso rituale, più che essere un'opportunità per parlare con gli Spiriti, assumeva un tono quasi feticistico, perché ne apprezzavo molto, troppo, l'atmosfera che creava, i ceri accesi nel buio, l'incenso, la disposizione ordinata sull'altare.
Era un'opera artistica, era parte della "festa". Era bello, ma mancava completamente il punto.
Quest'anno invece chiamando uno a uno i miei cari defunti e parlando con loro, ho ricordato chi erano, ho pianto, mi sono tornati alla memoria i momenti in cui loro erano vivi, in cui erano accanto a me, come esseri fisici, e devo dire che ripensandoci, quel rituale smetteva di essere qualcosa di così meraviglioso, sembrava piuttosto un palliativo, una limitazione rispetto all'abbracciare l'altra persona, rispetto al sentire di nuovo il suo profumo, ascoltare nuovamente la sua voce, sentire ancora il suo abbraccio, rivedere un volto vivo che ti guarda con affetto.
Ho capito e mi sono vergognato di non aver compreso prima, di non aver provato prima questa sensazione, di non aver afferrato in precedenza che il feticismo del rito in quanto rito spesso deumanizza i rapporti con coloro che chiamiamo mediante il rituale.
Appaiono quasi come un contorno rispetto alla festa, alla "figaggine" di accendere fuochi di notte. Ma forse sarebbe il caso di staccare le due cose: se ci piacciono le performance artistiche facciamole per divertirci, e poi seriamente contattiamo gli spiriti perché vogliamo loro.
Anzi, perché vogliamo quel singolo individuo che PER PURA CASUALITÀ è anche defunto o un Nume, non perché vogliamo "contattare i mortiii uhh che figataaa" o "evocare un dio uuuh che cosa maggicaah".
Sostituiamo il voler fare qualcosa di "figo e magico" con l'affetto, con il voler avere almeno un minimo segno da parte di chi amavamo, non per la "figaggine" del segno in sè da parte di uno spirito, ma perché è l'unica cosa che possiamo avere che ci ricordi minimamente il rapporto umano che avevamo con quella persona, perché non possiamo rompere il vetro della cornice per riabbracciarla, altrimenti lo avremmo fatto e al diavolo il rituale.
Il rito è quindi un mezzo per una relazione, ma è la RELAZIONE che deve essere al centro, non il rituale.
Se contattiamo un Dio non lo dobbiamo fare perché "è figo", ma perché gli vogliamo bene, vogliamo avere un Padre o una Madre spirituale che ci possano sostenere, che ci possano consigliare, con cui ci possiamo confidare... che possiamo amare. Amare, non figaggine del rito, amare è il motivo del rito.
Poi la festa può esserci, ma una cosa è certa: festeggiare il Giorno dei Morti, il Dia de los Muertos, Samhain, Halloween o qualsiasi altra festività legata ai defunti tenendo a mente gli individui, il loro ricordo e non il loro status di "spiriti" è diverso. È diverso e te ne accorgi: fai le cose con più rispetto. Fai le cose con più devozione, fai le cose con più amore e meno consumismo, fosse anche consumismo esoterico.
E questo non vale solo per questo periodo dell'anno, vale per ogni evocazione, per ogni offerta, per ogni meditazione o viaggio sciamanico o astrale: la relazione con l'altro in quanto individuo prima che in quanto essere spirituale viene prima di tutto.
Il rito diventa formalità e la presenza dell'altro individuo è ciò che riempie il cuore.
Anche perché spesso questi rituali che tengono all'esteriorità più che al contenuto ci spingono a fare cose che davanti alla persona fisica non avremmo mai fatto. Spesso ci fanno entrare in uno stato in cui non ci rendiamo neanche conto che se noi parliamo con qualcuno tramite un rito, è sempre quel qualcuno con cui ci relazionavamo quando era in vita, e con cui magari determinate parole non osavamo dirle o davanti a cui non facevamo certe cose. Cambiare atteggiamento solo perché adesso quella persona dimora nel piano spirituale è considerare il rito una farsa, incapace di metterci in contatto con la persona vera, o posizionare al di sopra dell'individuo con cui conversiamo il suo status di spirito.
Ecco quindi che la prima cosa da pensare durante un rituale in cui si contatta un Dio o un antenato o un qualsiasi altro spirito è: "come mi comporterei se fosse fisicamente qui presente?"
Questo penso sia una cosa da tenere sempre a mente, qualsiasi rito eseguiremo, per non sbagliare e, soprattutto, per non mancare il punto.

venerdì 28 ottobre 2016

Meditazione/Trance base



Oltre alla ripetizione dei nomi della propria Divinità Patrono concentrandosi su di essi, un metodo di meditazione molto semplice ma utile è quello di essere presenti a noi stessi mentre chiudiamo gli occhi, vale a dire la concentrazione sullo schermo nero dietro le palpebre.
Ho scoperto da poco che questo tipo di meditazione si chiama "Inner Light Meditation" ovvero "Meditazione sulla/della Luce Interiore".

Riporto adattando da http://www.meditationcenter.com/connect/inlight.html :
"In questa meditazione, la luce che vedi quando chiudi gli occhi e guardi la parte posteriore delle tue palpebre - il tuo "schermo interiore" - sarà l'oggetto principale su cui dovrai focalizzarti. Concentrarti su questa luce produrrà un piacevole stato di rilassamento, e in più questa luce funge da ponte per collegarti con la luce della tua essenza interiore [...]. E' una meditazione abbastanza semplice, ma è potenzialmente molto profonda.

Passaggi della Meditazione sulla Luce Interiore:

1) Siediti comodamente con gli occhi chiusi.

2) Guarda lo schermo che riempie lo spazio dietro le tue palpebre chiuse.

3) Nota qualsiasi luce che appare sullo schermo interno. La luce può apparire come piccole particelle, onde, colori, come fosse "neve" su uno schermo TV, ecc. (Considera tutto ciò che non è buio assoluto come una forma di luce.). [La luce però non è un'immagine con un significato, non è un pensiero, altrimenti si tratta di un'immagine mentale e quindi di distrazione, N.d.T.]

4) Focalizzati gentilmente sulla luce.

5) Non è necessario mettere a fuoco in modo chiaro. Basta guardare la luce con attenzione rilassata.

6) Se non vedi alcuna luce sullo schermo, va benissimo... concentrati solo sullo schermo nero.
Qualunque cosa tu esperisca è tutto a posto.
I punti 4 e 5 sono validi anche in questo caso, solo che si applicano per lo schermo nero.

7) Se ti senti come se stessi scivolando in uno stato simile al sonno o al sogno, permetti che accada [ovviamente stato SIMILE, non dormire DAVVERO! N.d.T.].

8) Se ti accorgi di esserti allontanato immergendoti nei tuoi pensieri, riporta semplicemente l'attenzione al tuo schermo interno e continua a guardare la luce."

E' necessaria la luce?

Sinceramente? No. Semplicemente a livello visivo può capitare che, fissando lo schermo nero dietro le palpebre, per motivi puramente fisici di nervi ottici (immagino) non appaia come un buio fisso ma qualcosa si muove, qualcosa che non è un pensiero ma un'azione meccanica e che non ha senso cercare di scacciare dalla mente, perchè non è nella mente, è una reazione biologica dell'occhio. In questo senso, se appare nel nostro schermo nero, è bene lasciare che la nostra concentrazione la includa. In essenza di tale reazione però il nostro focus dovrebbe essere lo schermo nero.

Cosa significa concentrarsi sullo schermo nero?

Fissare lo schermo nero vuol dire tante cose. C'è chi preferisce fissare il nero nel suo complesso e chi si focalizza su di un punto in particolare. Usate la modalità con cui vi trovate meglio.
Io preferisco focalizzarmi su di un punto specifico del campo visivo, facendo attenzione a non creare tensione oculare (altrimenti si potrebbero creare problemi per la vista).
Di solito non è un punto deciso prima ma quello che i miei occhi quando chiudo le palpebre naturalmente fissano.
Questo permette di evitare di sforzare gli occhi per indirizzare la vista verso un punto specifico.

Come usarla per ricevere visioni?

Semplicemente prima di iniziare pronunciamo ad alta voce:
1) la richiesta di incontrare la nostra Divinità Patrono o lo Spirito con cui vogliamo metterci in contatto e
2) la domanda a cui vorremmo rispondesse mediante visioni o sussurri (ovvero voci).
Possiamo anche chiedere alla nostra Divinità di accompagnarci durante un viaggio nell'Altro Mondo, di mostrarcelo, in modo da ricevere visioni proprio del Mondo degli Spiriti.

Come si distinguono le visioni e i sussurri autentici dalle creazioni del nostro subconscio?

Come detto nel post "Distinguere le visioni dalle illusioni" (da cui ora copia-incollerò), esistono alcune regole per capire come fare:
1) se abbiamo aspettative e vediamo ciò che ci aspetteremmo non è una visione ma immaginazione/subconscio. Perciò evitiamo di avere aspettative. Quando meditiamo facciamolo per amore della meditazione e senza pensare alla meditazione come a un fine per ottenere visioni.

2) se vediamo delle normali immagini mentali, non sono visioni. Le visioni sono improvvise, non vengono "a flusso di coscienza", quello è il subconscio. Di solito sono accompagnate da un senso di sorpresa, lo stesso che abbiamo quando ci viene un colpo di genio. Infine, non hanno la stessa nitidezza delle immagini mentali: le visioni sono molto più nitide, hanno dei colori più accesi, sembrano quasi fotografie rispetto alle immagini mentali.

3) sebbene possano arrivare anche sussurri, è ancora più difficile distinguere queste voci dai pensieri vocali, quindi suggerisco di ignorare in blocco eventuali messaggi uditivi/verbali e aspettare che il messaggio arrivi mediante visione.

Se il messaggio ci arriva solo mediante un sussurro, dobbiamo sapere che di solito i veri sussurri che non siano illusioni sono delle voci che percepiamo come esterne anche se le sentiamo dentro di noi, e valgono le stesse leggi di nitidità, arrivo improvviso, sensazione di sorpresa e assenza di aspettative.
Ma ripeto, nel caso dei sussurri la mente tende a ingannarci di più quindi sono sempre da preferire le visioni.

4) alle volte può capitare di percepire sensazioni o intuizioni al posto di risposte visive o sussurri. Anche qui sono più forti (nitidità) rispetto alle sensazioni normali e valgono le altre leggi di arrivo improvviso, sensazione di sorpresa e assenza di aspettative.

venerdì 14 ottobre 2016

Storie sul Mondo di Sotto: Tam Lin

Riporterò oggi la bellissima fiaba scozzese di Tam Lin, sia in forma narrata che come ballata.
Le fonti da cui ho preso le due versioni sono:
http://www.elfland.it/Tamlin.htm
e
http://terreceltiche.altervista.org/tam-lin/



La bella Janet era la figlia di un conte delle Terre Basse che viveva in un grigio castello circondato da campi verdi. Un giorno, stanca di ricamare e di giocare a scacchi con le altre dame del castello, decise di andare a esplorare i boschi di Carterhaugh: indossò un mantello verde, raccolse i capelli biondi e partì.

Vagò attraverso quiete radure erbose piene di ombre, dove le rose selvagge crescevano rigogliose e le campanule dai verdi stami formavano un soffice tappeto. A un certo punto Janet allungò una mano per cogliere una rosa bianca da appuntare alla vita, ma appena staccò il fiore un giovane uomo le comparve davanti sul sentiero.

«Come osi tu cogliere le rose di Carterhaugh e vagare per questa foresta senza il mio consenso?» chiese a Janet. «Non intendevo fare alcun male»  rispose la ragazza «lo sono il guardiano di questi boschi e devo fare in modo che nessuno disturbi la loro quiete» le spiegò il giovane.

Poi lentamente sorrise, come se lo facesse dopo molto tempo, e raccolse una rosa rossa che cresceva vicino alla rosa bianca. «Eppure ti darei tutte le rose di Carterhaugh tanto sei bella» disse. Prendendo la rosa Janet gli chiese: «Chi sei tu che parli così dolcemente?». «Il mio nome è Tam Lin» replicò il giovane. «Ho sentito parlare di te!» gridò atterrita Janet. «Tu sei un cavaliere degli Elfi!» e spaventata allontanò da se la rosa. «Non devi temere, dolce Janet» disse Tam Lin «perché anche se tutti pensano che io sia un cavaliere degli Elfi, in realtà sono un essere umano proprio come te.» E mentre Janet meravigliata ascoltava, egli raccontò la sua storia.
«I miei genitori morirono quando ero un bambino e mio nonno, il conte di Roxburg, mi portò a vivere con se. Un giorno mentre stavamo cacciando nel bosco profondo, uno strano vento gelido proveniente dal nord cominciò a soffiare scuotendo ogni foglia.

Un profondo torpore mi avvolse e caddi da cavallo. Quando mi risvegliai mi trovai nel paese delle Fate; la regina degli Elfi mi aveva rapito mentre dormivo.» Poi tacque per un attimo, ripensando a quella verde terra incantata. «Da quel giorno sono prigioniero dell'incantesimo della regina degli Elfi. Durante il giorno sorveglio i boschi di Carterhaugh, e la notte torno nel bosco fatato. Oh Janet, ho una grande nostalgia della vita mortale; vorrei con tutto il cuore liberarmi dall'incantesimo che grava su di me!» Le sue parole suonavano così addolorate che Janet disse: «Non c'è alcun modo per liberarti?».
Tam Lin prese la mano di Janet fra le sue e disse: «Stanotte, Janet, è Halloween, e ogni anno, in questa notte, è possibile ricondurmi alla vita mortale. Nella notte di Halloween le creature fatate cavalcano oltre i confini del loro regno e io vado con loro».

«Dimmi cosa posso fare per aiutarti» disse Janet. «Con la forza del mio cuore ti ricondurrò fra gli uomini.»
Tam Lin disse: «A mezzanotte dovrai andare al crocevia e aspettare che passi la schiera fatata a cavallo. Resta ferma e lascia passare le prime due compagnie. lo sarò con la terza, monterò un cavallo bianco e avrò un cerchio d'oro sulla fronte. Appena mi vedi corri da me e abbracciami forte; qualunque cosa accada tu tienimi stretto e non lasciarmi, e in questo modo mi permetterai di tornare fra gli uomini».
Poco dopo la mezzanotte, Janet si diresse verso il crocevia e aspettò all'ombra di un cespuglio di biancospino. L 'acqua dei fossi rifulgeva alla luce lunare, i cespugli spinosi proiettavano strane ombre sul terreno e i rami degli alberi si agitavano in modo inquietante sulla sua testa. A un tratto avvertì in lontananza un debole suono di campanelli e capì che i cavalli fatati si stavano avvicinando.

Tremando un poco si avvolse nel mantello e, sbirciando lungo la strada, vide il balenio argentato dei finimenti, poi la candida criniera del primo cavallo; e in un attimo comparì l'intera schiera fatata: i pallidi volti degli Elfi erano rivolti verso la luna, i loro strani riccioli erano scomposti dal vento.
Janet restò ferma mentre passava la prima compagnia, con la regina degli Elfi a cavallo di un nero destriero; ne si mosse quando passò la seconda, ma appena vide il bianco destriero di Tam Lin e il luccichio del cerchio d'oro sulla sua fronte uscì di corsa dai cespugli e afferrando la briglia lo trascinò a terra avvolgendolo nel suo abbraccio.

Subito si levò un grido: «Tam Lin va via!». Il cavallo della regina si impennò e tornò sui suoi passi; la regina posò i suoi bellissimi occhi su di loro, e con un sortilegio trasformò Tam Lin in una piccola lucertola che Janet continuò a stringere al petto. A quel punto avvertì qualcosa strisciare fra le dite e si accorse che la lucertola si era trasformata in un gelido, viscido serpente, che ella abbracciò mentre le avvolgeva le spire intorno al collo. Improvvisamente provò un intenso dolore alle mani: il serpente si era trasformato in una barra di ferro rovente. Lacrime di dolore scesero lungo le gote di Janet che tuttavia non abbandonò la presa e continuò a stringere a se Tam Lin.

Allora la regina degli Elfi capì di aver perso Tam Lin a causa del saldo amore di una donna mortale e gli restituì sembianze umane: Janet si ritrovò così fra le braccia un uomo nudo. Trionfante avvolse Tam Lin nel suo mantello verde e mentre la compagnia degli Elfi riprendeva il cammino e una sottile mano verde afferrava le briglie del cavallo di Tam Lin, si udì la voce della regina levarsi in un lamento amaro: «Ho perso il più bel cavaliere della mia compagnia, tornato al mondo dei mortali. Addio Tam Lin! Se avessi saputo che una donna ti avrebbe conquistato con la forza del suo amore ti avrei privato del tuo cuore di carne per sostituirlo con uno di pietra. Se avessi saputo che la bella Janet sarebbe venuta nel bosco di Carterhaugh, avrei sostituito i tuoi occhi grigi con degli occhi di legno».
Mentre la regina parlava la notte rischiarò e, alla debole luce dell'aurora, con uno strano grido, i cavalieri fatati rimontarono sui loro cavalli e scomparvero. Mentre il suono dei campanelli si faceva sempre più lontano, Tam Lin prese fra le sue una delle povere mani piagate di Janet e insieme tornarono al castello, dove viveva il padre di lei.

La Ballata di Tam Lin

Attente voi tutte fanciulle
Che avete il capello dorato
All'Argine dei Biancospini
Che da Tamlino è abitato!

Chi passa per i Biancospini
Un pegno lasciare dovrà:
Il verde mantello che porta
O la sua verginità.

Giovanna con la veste verde
Che scopre le gambe di un po'
All'Argine dei Biancospini
Corre più svelta che può.

Aveva già colto una rosa
Un'altra voleva staccare
Ed ecco, le appare Tamlino:
"Donna, non me le toccare!

Perché vieni qui ai Biancospini
Se non hai l'invito da me?"
"Io vado dovunque mi pare,
Non devo chiederlo a te!"

Giovanna con la veste verde
Che scopre le gambe di un po'
A casa dai suoi genitori
Corre più svelta che può.

Il padre la guarda e le parla,
La voce è un sommesso bisbiglio
"Ahimè mia Giovanna" le dice
"Credo che tu aspetti un figlio."

"Se è vero" risponde Giovanna
"Io sola e soltanto so come,
Nessuno dei tuoi cavalieri
Può dare al bimbo il suo nome.

Se solo il mio amore non fosse
Un elfo verdastro e fatato!
Perché non lo voglio cambiare
Con chi è del nostro casato."

Giovanna con la veste verde
Che scopre le gambe di un po'
All'Argine dei Biancospini
Corre più svelta che può

"Tamlino, raccontami" dice
"Perché vivi qui in questo stallo?"
"La Fata Regina mi prese
Quando cascai dal cavallo.

Al settimo anno lei deve
Pagare all'inferno un balzello,
Un uomo piacevole e forte:
Temo che io sarò quello.

Ma questa è la notte dei Santi [vigilia di Ognissanti, nel testo originale Hallowe'en, n.d.t.]
E tu mi puoi ancora salvare,
Ché passa il corteo delle fate:
Devi a un incrocio aspettare.

Tu lascia passare i cavalli
Che han pelo nero o marrone,
Ma quando vedrai quello bianco
Tira giù chi è sull'arcione,

Perché io sarò il cavaliere
Che ti troverai fra le mani:
Il bianco destriero è un onore
Solo per gli esseri umani.

Allora sarò trasformato
In drago o serpente fischiante
Ma stringimi senza temere,
Pensa che sono il tuo amante.

Allora sarò trasformato
In orso o leone ferino
Ma stringimi senza temere,
Son padre del tuo bambino.

Infine sarò trasformato
In un cavaliere spogliato
Avvolgimi nel tuo mantello,
Tienimi bene celato."

Giovanna nella notte fonda
Ascolta il corteo scalpitare
Fa come Tamlino le ha detto
E lo riesce a salvare.

La Fata Regina si volta
Le parla con voce furiosa:
"Tu sia maledetta, tu muoia
Di morte assai dolorosa.

Se avessi saputo, Tamlino,
Di avere da te questo sdegno
Ti avrei trasformato con gli occhi
In un bel pezzo di legno!"

lunedì 10 ottobre 2016

Celebrare Halloween




Io sinceramente divido la celebrazione (seppur rituale) di Halloween (notte del 31 novembre) da quella dei Morti (notte dell’1).
Nella prima c’è divertimento per il divertimento, c’è ringraziare per la stagione, nella seconda notte invece c’è un ricordare i propri morti, fare loro offerte e conversarvici.
Ad Halloween, quest’anno vorrei mettere sull’altare:
- Decorazioni a tema
- Candele nere e arancioni (o al massimo rosse)
- Zucche (anche finte, ma intagliate con una candela dentro sono bellissime)
- Pigne
- Castagne
- Foglie autunnali (magari in un piattino per evitare di sporcare)
- Teschietti di ceramica (come quelli messicani)
- Melograni

Il rituale sarebbe:

- Fare un’offerta alla propria Divinità Patrono
- Convocarla nella maniera dell’evocazione (ovvero chiamando con molto pathos, ripetutamente, fino a che non si percepisce la sensazione che l’entità sia presente nella stanza)
- Offrirle le candele nere e arancioni (se si hanno più Divinità Patrono si può offrire una candela per Divinità)
- Offrire del cibo a base di zucca e/o melograno (è possibile offrirne la parte sottile chiedendo alla/e Divinità di benedire la parte materiale che verrà mangiata in compagnia dopo il rituale)
- Recitare una preghiera a tema, come il Beannachadh Beothachaid, qui tradotto in italiano e modificato in maniera non-cristiana:

“Ravviverò il mio fuoco stamattina
Alla presenza degli antichi Dei,
Alla presenza di [nome della propria Divinità Patrono], splendido giovane [o la descrizione corrispondente alla propria Divinità],
Alla presenza di [nome della propria Divinità] dei mille incanti,
Senza invidia, senza malizia, senza rancore,
Senza paura, senza tremare alla luce del sole,
Perché gli eterni Numi mi proteggono.
Senza invidia, senza malizia, senza rancore,
Senza paura, senza tremare alla luce del sole,
Perché gli eterni Numi mi proteggono.
E tu, [nome della propria Divinità Patrono], ravviva nel mio cuore,

Una fiamma d’amore per il mio vicino,
Per l’amico ed il nemico, per tutti i miei congiunti,
Per l’audace e il timoroso, per il povero ed il servo,
O dolcissimo/a Divo/a [nome della propria Divinità Patrono],
Dalla più misera cosa sulla terra,
A quei Nomi che più di tutti in alto stanno.
O dolcissimo/a Divo/a [nome della propria Divinità Patrono],
Dalla più misera cosa sulla terra,
A quei Nomi che più di tutti in alto stanno.”


- Accendere un fuoco o una candela e saltarlo, dicendo:
“Salto questo santo fuoco,
che purifichi la mia anima prima e dopo,
salto quest’eterna fiamma,
possa io vedere l’Altro Mondo
restando in questo senza paura e senza dilemma,
ché ovunque io vada errando
gli Dei al mio fianco su di me vegliando stanno”.

- Scrivere su dei fogliettini i ringraziamenti per ciò che si ha ricevuto durante l’anno passato e/o cosa si vorrebbe e farli bruciare nel proprio calderone chiedendo che i propri desideri vengano esauditi e le proprie preghiere ascoltate.

- Se si è in compagnia si può fare il gioco del “bobbing for apple” (o caccia alle mele), chiedendo agli Dei di benedire principalmente il vincitore ma anche tutti gli altri partecipanti al gioco.
Il gioco funziona così: si pongono diverse mele in un catino pieno d’acqua e coppie di giocatori devono catturare le mele avendo le mani legate dietro la schiena entro un tempo stabilito.
Anticamente si diceva che chi avesse colto la prima mela sarebbe stato fortunato durante tutto l’anno a seguire.
Nel caso del vincitore è possibile dormire con la mela pescata sotto al cuscino per sognare ciò che si vuole (basta dirlo davanti alla mela prima di addormentarsi). Con questo metodo possono essere fatti dei sogni divinatori.

- Sempre se si è in compagnia è possibile chiedere agli Dei di benedire il vincitore ma anche tutti gli altri partecipanti a un altro gioco, quello del raccontare storie dell’orrore, decidendo a votazione il vincitore in base al racconto più spaventoso.
- Ringraziare quindi gli Dei per la loro presenza e spegnere le candele rappresentative lasciando consumare invece quelle di offerta.

A seguito del rituale consiglio una maratona di film spaventosi o a tema Halloween in compagnia di amici ;)

domenica 9 ottobre 2016

Vi Amo


Ovunque voi dimoriate,
Aldilà di tempo e spazio,
Vicino a me
O nell'immanente eterno,
Spero possiate ascoltarmi
Mentre vi dico questa cosa:
Grazie di esistere,
Vi amo.


sabato 8 ottobre 2016

Momijigari: ammirare l'autunno


Cito da "Viaggigiappone.animeclick.it":

"L'autunno è arrivato. Le giornate si accorciano, le temperature scendono, spesso piove. Nemmeno il tempo di pensarci e sarà Natale. E magari inizieremo ad organizzarci per partire per il viaggio dei nostri sogni, quello che ci porterà ad ammirare i ciliegi in fiore dall'altra parte del mondo, per poter dire anche noi di aver ammirato l'hanami.
Ma il Giappone è ricco di sorprese! I suoi abitanti infatti hanno da sempre una vera e propria passione per la contemplazione della natura e le sue manifestazioni: dallo splendore dei fiori alla freschezza dell’acqua, dalle montagne impervie alle ampie pianure. Osservando la natura tutto può acquistare un significato, perchè, anche se breve, la vita è una e va vissuta appieno e con gusto, esattamente come si può ammirare un bel fiore, anche se il giorno dopo sarà appassito.
Anche l’autunno perciò ha una sua ragione d'essere: la natura, pur preparandosi a "morire", è degna di essere osservata. Anche perchè nel buddismo, la morte è speranza di rinascita. Sia per questo, sia perché anche l’autunno offre piccoli capolavori di bellezza, come la primavera ha il suo hanami, così l’autunno porta i giapponesi a spostarsi fuori città, nei boschi e sulle montagne per fare il cosiddetto Momijigari.
La parola Momijigari significa letteralmente “caccia all’acero giapponese”: infatti Momiji significa acero (ma anche più in generale tutte le foglie autunnali, giacchè l'etimologia della parola "momiji" risale all'antico termine "momizu", che significa "tingere di rosso"), mentre "gari" deriva dal verbo "karu" che vuol dire "cacciare". Ovviamente non si dà la caccia alle foglie per raccoglierle, ma si va a "caccia" degli alberi che si sono tinti di rosso semplicemente per godere del magnifico spettacolo che offrono.
Mentre l’hanami sembra essere nato in campagna e nei villaggi rurali per celebrare l'arrivo della bella stagione e come rito propiziatorio per un buon raccolto, il Momijigari è un rituale antico dalle origini aristocratiche. Si narra infatti che nell'era Heian (VIII-XII sec. d.C.) si diffuse fra i nobili come passatempo: ci si ritrovava sotto gli aceri per suonare, cantare o recitare poesie d’amore, cercando ispirazione nella contemplazione delle foglie tinte di rosso. Più tardi, nel periodo Edo (1603 – 1867), questa usanza si diffuse anche fra le gente comune, arrivando intatta fino ai giorni nostri.
Quindi in questo periodo i giapponesi si recano in massa a contemplare il Momiji, il cui nome scientifico è Acer Japonicum; si tratta di un albero della famiglia degli aceri, più piccolo rispetto a quello canadese e con foglie più strette ed affusolate che hanno la caratteristica di tinteggiarsi con molteplici sfumature: da infinite varietà di verde (da quello più tenue e vellutato al verde smeraldino, più intenso) a numerose tonalità di giallo e rosso passando per tutta la gamma degli arancioni. Durante questo sfavillante trionfo di colori si creano scenari splendidi sia in città che in montagna. E così come i fiori di ciliegio, anche le foglie di momiji al culmine della loro bellezza durano solo pochi giorni.
Al contrario dell'hanami, che inizia a sud per proseguire verso nord, il Momijigari inizia nell'isola di Hokkaido a partire dalla fine di settembre e poi tocca tutto il paese, per concludersi solitamente all'inizio di dicembre, quando le foglie cadono completamente. Questo spostamento della colorazione dei momiji, che attraversa l’intero Giappone da nord a sud, è chiamato koyo-zensen, letteralmente “previsione delle tinte autunnali”. Ogni sera, come per le previsioni meteo, i telegiornali forniscono un rapporto sullo stato dei momiji, con tanto di mappe dettagliate che mostrano il grado di colorazione raggiunto e le percentuali in ogni singola area. In questo modo si possono organizzare e pianificare meglio gite e scampagnate. Per i più tecnologici l'Ente Nazionale del Turismo pubblica sul proprio sito un calendario che permette di organizzare gli spostamenti nei periodi giusti e fornisce una Guida ai colori dell'autunno, in cui spiega quali alberi cambiano colore, dove e quando.
[...]
Seppur meno famoso dell'hanami, il Momijigari è un tratto distintivo della cultura giapponese che accomuna cittadini di ogni estrazione sociale. Le foglie rosse degli aceri sono evocate nelle più antiche raccolte poetiche come ad esempio il Manyoshu, la più antica antologia poetica giapponese che contiene circa 4.500 poesie e canti popolari, la maggior parte anonima. Delle foglie degli aceri si parla anche nel Genji Monogatari ('Racconto di Genji'), nel capitolo dal titolo Momijinoga ('La festa delle foglie rosse').
Gli appassionati di poesia possono risalire fino ai tanka (poemi di 31 sillabe) del VII secolo per trovare dei riferimenti mentre chi frequenta il teatro, sia il No sia il Kabuki, può assistere alla rappresentazione di un dramma tradizionale intitolato Momijigari.
Nelle stazioni ferroviarie compaiono confezioni regalo di dolcetti ispirati al momiji e sacchetti di foglie di acero fritte.
Ebbene sì, non avete capito male: con le foglie di acero si fa un'ottima tempura! Pare che questo piatto sia nato addirittura 1300 anni fa, quando un pellegrino preso dalla bellezza degli aceri della cascata Minootaki (vicino ad Osaka) decise di friggere alcune foglie nell'olio di colza e di condividerle con altri viaggiatori.
Dal 1910, in concomitanza com l'apertura di una stazione ferroviaria e di un parco vicino a Minootaki, ci fu un aumento del numero di turisti, molti dei quali affamati e ovviamente in cerca di souvenir. Quindi la tempura di acero iniziò ad essere venduta nei negozi lungo il sentiero che conduce alla cascata e la tradizione continua ancora oggi.
Solitamente si usa la varietà gialla chiamata Ichigyouji: si scelgono le foglie con la forma migliore, si lavano e si lasciano immerse in acqua e sale per circa un anno prima di essere fritte in olio di sesamo zuccherato. La panatura tende ad essere un po' più secca rispetto alla tempura standard e questo le rende perfette come spuntino."

A Roma esiste l'Orto Botanico che ha un giardino giapponese, toccherebbe vedere se ospita anche questo tipo di alberi. In tal caso sarebbe possibile osservare il Momijigari anche in Italia, altrimenti anche l'autunno nostrano ha tutto il suo fascino!

mercoledì 5 ottobre 2016

Distinguere le visioni dalle illusioni


Spesso ho scritto che è possibile utilizzare la meditazione per mettersi in contatto con Spiriti o Dei.
In questo caso si domanda ad alta voce di contattare l'Entità, quindi si chiudono gli occhi, si entra in meditazione concentrandosi sul respiro (si inspira e si pensa "inspiro", si espira e si pensa "espiro", concentrandosi solo su questo pensiero e ignorando tutto il resto) o sullo "schermo nero" dietro le palpebre (ovvero focalizzando la nostra attenzione su quel buio che vediamo dietro le palpebre quando chiudiamo gli occhi e ignorando ogni altro pensiero). Dopo un po' di tempo (solitamente attorno ai venti minuti) potranno arrivare delle visioni.

In questo caso come distinguere le visioni dalle illusioni del subconscio o dall'immaginazione?
Esistono alcune regole:

1) se abbiamo aspettative e vediamo ciò che ci aspetteremmo non è una visione ma immaginazione/subconscio. Perciò evitiamo di avere aspettative. Quando meditiamo facciamolo per amore della meditazione e senza pensare alla meditazione come a un fine per ottenere visioni.

2) se vediamo delle normali immagini mentali, non sono visioni. Le visioni sono improvvise, non vengono "a flusso di coscienza", quello è il subconscio. Di solito sono accompagnate da un senso di sorpresa, lo stesso che abbiamo quando ci viene un colpo di genio. Infine, non hanno la stessa nitidezza delle immagini mentali: le visioni sono molto più nitide, hanno dei colori più accesi, sembrano quasi fotografie rispetto alle immagini mentali.

3) sebbene possano arrivare anche sussurri, è ancora più difficile distinguere queste voci dai pensieri vocali, quindi suggerisco di ignorare in blocco eventuali messaggi uditivi/verbali e aspettare che il messaggio arrivi mediante visione.

Se il messaggio ci arriva solo mediante un sussurro, dobbiamo sapere che di solito i veri sussurri che non siano illusioni sono delle voci che percepiamo come esterne anche se le sentiamo dentro di noi, e valgono le stesse leggi di nitidità, arrivo improvviso, sensazione di sorpresa e assenza di aspettative.
Ma ripeto, nel caso dei sussurri la mente tende a ingannarci di più quindi sono sempre da preferire le visioni.

4) alle volte può capitare di percepire sensazioni o intuizioni al posto di risposte visive o sussurri. Anche qui sono più forti (nitidità) rispetto alle sensazioni normali e valgono le altre leggi di arrivo improvviso, sensazione di sorpresa e assenza di aspettative.

Contatto spiritico mediante Tarocchi e Pendolo



Come contattare uno Spirito o una Divinità usando tarocchi e pendolo?

In questo modo:

Prima di tutto si fa un'offerta all'Entità (ad esempio accendendo una candela del colore corrispondente e un incenso o le sue alternative in suo onore).
Dopo aver chiamato lo Spirito ripetendo il suo nome più e più volte fino a percepire la sua presenza (per maggiori informazioni si leggano gli articoli "Rituale di evocazione e contatto con Divinità e Spiriti" e "Dall'offerta meccanica all'evocazione: percepire gli Dei"), prendiamo il nostro mazzo di tarocchi e il nostro pendolo.

Facciamo una domanda allo Spirito o al Dio, mischiamo il mazzo, quando lo tagliamo dividiamolo in più mazzetti (solitamente 3) e con il pendolo vediamo quale dei mazzetti prendere (quello su cui si avvicina di più il pendolo).
Dal mazzetto scelto si tireranno fuori 3 o 4 carte che indicheranno la risposta dell'Entità.

Una variante di questa pratica consiste nel chiedere allo Spirito di guidare la nostra mano nella scelta delle carte del mazzetto selezionato dal pendolo, mazzetto che stenderemo sul tavolo e sopra cui passeremo con il palmo cercando di percepire qualche "sensazione particolare", che indicherà la scelta che l'Entità ha fatto per noi.

Quest'ultimo metodo richiede una certa dose di percezione psi, quindi è preferibile allenarsi con i test per la chiaroveggenza mediante le carte Zener per un po' di tempo prima di impiegarlo.

domenica 2 ottobre 2016

Tiptologia, ovvero contatto mediante tavole giranti, colpi e sollevamenti

Come si svolge una seduta di Tiptologia, ovvero di contatto spiritico mediante il sollevamento, la rotazione o altri movimenti dei tavoli?
In questo modo: si chiama lo Spirito e gli si chiede di manifestarsi, di dire con due battiti sì e con tre battiti no. Questo perchè un battito solo potrebbe essere un semplice errore, quindi è opportuno partire con due.
Quindi tutti i partecipanti si toccano per mignoli e le mani di ciascuno si toccano per pollici, le mani di tutti toccano il tavolo e mediante l'energia attivata dallo Spirito e fornitagli dalle mani, il tavolo si muoverà e farà dei battiti.

Riporto da "Il Libro dei Medium" di Allan Kardec, in proposito di questa metodologia:

"L’effetto più semplice, anzi uno dei primi che fu osservato, consiste nel movimento circolare impresso ad una tavola. Questo effetto si produce egualmente sopra tutti gli altri oggetti; ma essendo sulla tavola che si fecero maggiori esercizi, come oggetto più comodo, il nome di Tavole Giranti prevalse per la designazione di questo genere di fenomeni.
Quando diciamo che tale effetto è uno dei primi che siano stati osservati, vogliamo riferirci a questi ultimi tempi, poiché è ben certo che ogni genere di manifestazione fu conosciuto fin dai tempi più remoti, e non poté essere diversamente, dal momento che questi effetti, essendo naturali, dovettero prodursi in ogni epoca. Tertulliano parla in termini espliciti delle tavole giranti e parlanti.
Questo fenomeno alimentò durante qualche tempo la curiosità dei salotti, quindi fu abbandonato per noia, onde passare ad altre distrazioni, essendo esso tenuto semplicemente come soggetto di distrazione. Due cause contribuirono all’abbandono delle tavole giranti: la moda, per le genti frivole, che consacrano raramente due inverni allo stesso divertimento, e che ne consacrarono, per prodigio, tre o quattro al suddetto fenomeno. Per le persone gravi ed osservatrici ne uscì invece qualcosa di serio che prevalse; e se trascurarono poi le tavole giranti, fu perché si sono occupate delle conseguenze ben più importanti nei loro risultati: esse lasciarono l’alfabeto per la scienza. Ecco tutto il segreto di questo apparente abbandono, su cui gli scettici fanno tanto rumore.
Comunque sia, le tavole giranti restano sempre come punto di partenza della dottrina spiritica, ed a questo titolo dobbiamo loro alcuni schiarimenti, tanto più che presentando i fenomeni nella loro più grande semplicità, lo studio delle cause ne sarà reso più facile; ed una volta stabilita la teoria, avremo la chiave degli effetti più complicati. Perché si produca il fenomeno, è necessario l’intervento di una o più persone dotate di un’attitudine speciale e che vengono designate con il nome di medium. Il numero di coloro che vi cooperano è invece indifferente, se non fosse per il fatto che nella quantità si può trovare qualche medium sconosciuto. Quanto a coloro che sono del tutto privi di medianità, la loro presenza è senza risultato alcuno e forse più nociva che utile, per la disposizione di spirito che sovente vi apportano.
I medium godono, sotto questo aspetto, di una potenza più o meno grande, e producono in conseguenza effetti più o meno pronunciati; spesso un individuo, medium potente, produrrà da solo più che venti altri riuniti: basterà ch’egli posi la mano sulla tavola, perché questa si muova all’istante, si drizzi, si rovesci, faccia dei salti o giri con violenza.
Non vi è alcun indizio della facoltà medianica; l’esperienza sola può farla riconoscere. Allorché in una riunione si vuol provare, conviene sedersi semplicemente attorno ad una tavola, e posarvi sopra il palmo della mano, senza pressione, né tensione muscolare.
Agli inizi, allorché si ignoravano le cause del fenomeno, si erano indicate molte precauzioni riconosciute in seguito assolutamente inutili: tale sarebbe, per esempio, l’alternarsi dei sessi; il contatto dei diti mignoli di differenti individui, in maniera da formare una catena non interrotta. Quest’ultima precauzione parve necessaria allorché si credeva all’azione di una sorta di corrente elettrica: ma l’esperienza ne dimostrò in seguito l’inutilità. La sola prescrizione che sia rigorosamente obbligatoria è il raccoglimento, un assoluto silenzio e soprattutto la pazienza, se l’effetto si fa aspettare. Può darsi che esso si produca in qualche minuto, come può anche ritardare una mezz’ora o un’ora; ciò dipende dalla potenza medianica di coloro che vi partecipano.
Diciamo ancora che la forma della tavola, la sostanza di cui è fatta, la presenza di metalli, della seta nelle vesti degli astanti, i giorni, le ore, l’oscurità o la luce, ecc., sono altrettanto indifferenti che la pioggia ed il bel tempo.
Soltanto il volume della tavola ha una certa importanza, ma solamente nel caso in cui la potenza medianica fosse insufficiente per vincere la resistenza; nel caso contrario, una sola persona, un fanciullo, può far sollevare una tavola di 100 chili quando, in condizioni meno favorevoli, dodici persone non farebbero muovere il più piccolo tavolinetto ad un sol piede.
Stando così le cose, allorché l’effetto comincia a manifestarsi, si sente abbastanza generalmente un piccolo scricchiolio nella tavola; poi si sente come un fremito, che è il preludio del movimento.
La tavola sembra fare degli sforzi per districarsi, poi incomincia il movimento di rotazione; questo si accelera talvolta al punto di acquistare una tale rapidità che gli astanti hanno grande difficoltà a seguirlo.
Una volta stabilito il movimento, si può anche restare distanti dalla tavola,ed essa continua  tuttavia a muoversi in sensi diversi, senza contatto.
In altre circostanze la tavola si solleva, ora su un piede, ora su un altro; poi riprende dolcemente la sua posizione naturale. Altre volte essa si bilancia imitando il movimento del beccheggio e del rullio di una nave.Altre volte, infine, ma per ciò è necessaria una potenza medianica considerevole, essa si distacca interamente dal suolo, e si mantiene in equilibrio nello spazio, senza punto d’appoggio, sollevandosi talvolta anche sino al soffitto, in modo che, volendo, le si può passare sotto; poi ridiscende lentamente, bilanciandosi come farebbe un foglio di carta,ovvero cade violentemente e si spezza; il che prova, in maniera evidente, che non si è ingannati da un’illusione ottica.
Un altro fenomeno, che si produce spessissimo secondo la natura del medium, è quello dei colpi battuti nell’interno stesso del legno, senza alcun movimento della tavola [da parte di persone, perchè spesso gli spiriti muovono le tavole o usano l'energia dei presenti per muoverle e queste a loro volta producono colpi, n.d.t.].
Questi colpi, alcune volte debolissimi, altre volte assai forti, si fanno intendere egualmente negli altri mobili dell’appartamento, contro le porte, i muri ed il soffitto.
A questo fenomeno torneremo fra breve. Quando essi hanno luogo nella tavola, vi producono una vibrazione, che si può benissimo apprezzare con le dita e distinguere soprattutto quando vi si applichi l’orecchio."

mercoledì 28 settembre 2016

Meditazione osservando il cielo, le nuvole e le stelle


Io non penso che ci sia bisogno di una guida per dover capire come meditare osservando il cielo.
Penso che venga naturale rivolgere l'attenzione ad esso, alle nuvole, alle stelle.
L'unica cosa che distingue una meditazione da un semplice esercizio di libere associazioni è il restare concentrati su ciò che si osserva e non lasciarsi distrarre da altri pensieri se non ciò che si vede e il riconoscere la bellezza in ciò che si vede.
Le cose su cui ci si può concentrare sono:
- le nuvole, le loro forme (senza andare a pensare "oh quella mi sembra mia zia Giuseppina!" et similia!) e il loro colore
- gli uccelli che passano
- le stelle
- il colore del cielo in quel dato momento
- il colore del Sole in quel dato momento (soprattutto al tramonto e all'alba il colore è diversissimo)
- il colore della Luna in quel dato momento (soprattutto al suo sorgere e al suo tramontare)
- i pianeti
- gli stormi che arrivano alla mattina presto (da me circa verso le 5.30)
- le fronde degli alberi più alti che si muovono
- i profumi dei fiori degli alberi che ci arrivano.

Sicuramente c'è altro da osservare, da vedere, ma ogni cielo è diverso e ogni cielo va osservato.
Sarebbe bello farlo per almeno un quarto d'ora, per poi arrivare a mezz'ora.
Alleniamoci a vedere la bellezza, o perlomeno proviamoci!

Scatola e Pozzo dei Desideri

La Scatola dei Desideri e il Pozzo dei Desideri sono delle metodiche magiche impiegate per richiedere a un'Entità (solitamente la propria Divinità Patrona) di esaudire le nostre richieste.


Nel primo caso, ovvero quello della scatola, ci si procura una piccola scatola di legno richiudibile e la si prepara purificandola con acqua, sale, incenso e la fiamma di una candela.
Quando si vuole esprimere un desiderio, si accende la candela del colore corrispondente (o quella dell'Entità a cui si fa la richiesta o prima quella dell'Entità e poi quella della richiesta), si mette dentro alla scatola un fogliettino con scritta la richiesta e un oggetto simbolico o rappresentativo del desiderio. Quando la richiesta viene esaudita si tolgono il foglietto e l'oggetto rappresentativo dalla scatola e la si ripurifica in modo che sia pronta per un nuovo desiderio.

Come oggetti simbolici si possono inserire all'interno: pietre, erbe, foglietti di pergamena con scritto l'intento, simboli o sigilli specifici della richiesta.


Per creare invece un "Pozzo dei Desideri" in casa, si usa un recipiente (anch'esso prima purificato nello stesso modo della scatola), solitamente una ciotola, che viene riempito d'acqua.
Quando si vuole fare una richiesta alla propria Divinità Patrono si tiene in mano e si carica una moneta ripetendo il proprio intento fino a che non si sentirà la "giusta sensazione" (indice che la moneta è stata caricata correttamente) e la si tira dietro di sè, facendo in modo di centrare il Pozzo.

Quando il pozzo diventa abbastanza pieno, i soldi non vanno MAI usati per noi stessi ma andranno OBBLIGATORIAMENTE devoluti ai poveri.

Rituale di Invocazione o Possessione Rituale


Mentre negli articoli precedenti ho parlato di Evocazione, qui parlerò di Invocazione.
Sebbene con il termine Invocazione ci si riferisca spesso anche alla semplice recitazione di inni, in questo caso intenderò la parola nel suo senso etimologico, ovvero in-vocare, "chiamare a sè", qui da intendersi come "chiamare dentro di sè". Evocare invece deriva da ex-vocare, "chiamare fuori di sè".

La differenza ritualistica fondamentale tra l'evocazione e l'invocazione è che mentre durante la prima si può smettere di chiamare l'Entità quando si percepisce qualcosa, perchè indica la presenza e la manifestazione dello Spirito convocato, la richiesta che si fa durante un'invocazione deve continuare anche oltre i primi segnali, deve arrivare perlomeno fino a un momento in cui percepiamo le cose in maniera intuitiva, senza l'ausilio del pensiero, come se ci fossero infuse, come se avessimo già le risposte a tutti i nostri interrogativi, come se le conoscessimo intuitivamente, insomma un momento dove possiamo perlomeno sentire una unione parziale di coscienze, un accesso iniziale alla coscienza dell'altra Entità. Se possibile, però, dovremmo spingerci anche oltre questo punto, molto oltre. Il limite massimo nel quale ci fermeremo sarà o l'esaurimento totale (non parziale, perchè sicuramente chiamare e chiamare e chiamare è un lavoro faticoso e se ci fermiamo appena siamo stanchi non arriveremo mai al punto di far scendere in noi la Divinità) o la possessione, cioè il nostro obiettivo.

Per facilitare il raggiungimento di questo risultato si utilizzeranno vari canali (utili anche nella pratica dell'evocazione, a dire il vero):
- Il canale orale/vocale della ripetizione ritmica o cantata del nome o dell'inno;
- Il canale orale/vocale della ripetizione della preghiera o della richiesta di incorporazione;
- Il canale uditivo del tambureggiamento (di accompagno alle ripetizioni vocali, cercando di seguire lo stesso ritmo, preferibilmente uno di intensità crescente);
- Il canale tattile della purificazione (con acqua e sale, incenso, bagno o doccia) e dell'atto fisico dell'offerta;
- Il canale visivo, che consiste in un punto focale su cui rivolgere la nostra vista e attenzione durante il rituale, come ad esempio il sigillo, la statua o la fiamma della candela dell'Entità.

Tenendo presente tutto questo, ecco come procedere:

1) Purifichiamoci con un bagno, una doccia, acqua e sale consacrati o mediante il fumo dell'incenso.

2) Facciamo meditazione, non solo finchè saremo rilassati, ma fino a quando il nostro corpo si immobilizzerà da solo, la nostra concentrazione sarà totale sull'oggetto della meditazione (respiro, lo schermo nero dietro le palpebre, ecc.), ci sentiremo completamente in pace e magari se possibile percepiremo dei formicolii (dovuti proprio all'immobilità del corpo). Solo a questo punto saremo in trance, e solo dopo essere entrati in trance potremo iniziare il rito (perdendo certamente un po' di concentrazione nell'esecuzione ma non è importante).
Solitamente è difficile concentrarsi sapendo che subito dopo si deve fare qualcosa, perciò mentre ci concentriamo dimentichiamocelo, pensiamo "ah sì non è importante il rito, posso pure evitarlo, se ci impiego ore e faccio solo meditazione saltando il rito andrà bene comunque, tanto al massimo lo rifaccio il giorno dopo".

3) Accendiamo una candela del colore corrispondente alla Divinità (se non lo conosciamo va bene bianca) e quindi accendiamo anche dell'incenso in suo onore (o altre offerte alternative all'incenso, che si trovano elencate nel post "Alternative agli incensi"), dicendo:
"Antico Dio/Antica Dea [nome della propria Divinità Patrono], ascolta la mia preghiera e fai che la mia voce giunga fino a Te. Ti offro quest'incenso, oh grandioso/a Nume, possa Tu gradirlo e rafforzare il legame che intercorre tra noi."

4) Cerchiamo di percepire già da subito il legame con la nostra o le nostre Divinità Patrono usando l'esercizio del Witches Foot pagano:
Uniamo le dita indice e medio, puntandole in alto sopra la nostra testa, e ripetiamo: "Questo Mondo".
Facciamole scendere in basso fino a sotto la vita dicendo: "L'Altro Mondo".
Portiamole adesso alla nostra spalla sinistra recitando: "[Nome della nostra Divinità Patrono]".
Portiamole adesso alla nostra spalla destra affermando: "[Nome dell'altra nostra Divinità Patrono]".
Se abbiamo una sola Divinità Patrono pronunciamo il nome in maniera più lenta permettendo alle dita di poggiarsi sulla spalla sinistra e finendo di pronunciarlo una volta arrivate a quella destra.
Quindi uniamo i palmi e recitiamo a mani giunte: "Fatemi percepire" (o "Fammi percepire" nel caso di una sola Divinità Patrono).
Infine apriamo le braccia a T e diciamo: "Il collegamento con Voi" (o "Il collegamento con Te" nel caso di una sola Deità).
A questo punto chiudiamo gli occhi, inspiriamo profondamente, concentriamoci sulle nostre sensazioni e proviamo a percepire questo legame, questo collegamento.

5) Evochiamo l'entità, ovvero chiamiamola cercando di percepirla, recitando con molto pathos (e quando abbiamo finito di recitare ripetiamo e ripetiamo e ripetiamo finchè non sentiremo che la Divinità è arrivata - senza assolutamente fermarci un secondo prima di allora - neanche dopo ci fermeremo, ma proseguiremo con l'invocazione - e continuando a ripetere e ripetere con la stessa enfasi!):

"Io ti chiamo [nome della Divinità Patrono], io ti chiamo! Io ti chiamo, [nome], io ti chiamo! Io ti chiamo, [nome], io ti chiamo!
[Nome], [Nome], [Nome], [Nome], [Nome], [Nome] (e così via per un po')!
Signore/a del [Sole/Luna/vento/cielo/ecc.], Re/Regina del [Sole/Luna/vento/cielo/ecc.]!
Sovrano/a del [Sole/Luna/vento/cielo/ecc.], Dio/Dea del [Sole/Luna/vento/cielo/ecc.]!
Io ti chiamo, [nome], io ti chiamo!"

E così via, ripetendo (anche in ordine sparso) in maniera ritmica o celebrativa/solenne/declamatoria, ma sempre e comunque passionale, mettendoci cuore e anima, "infiammandoci" nel chiamare.
Se lo desideriamo possiamo anche aprire le mani a T o a V, oppure tenerle giunte, addirittura possiamo anche voler dondolare o muoverci con il corpo in accordo con quanto sentiamo.

6) A questo punto arriva il momento dell'invocazione. Porgiamo la nostra richiesta:

"Ti prego, [Nome della Divinità Patrono], prendi possesso del mio corpo!
Che le labbra con cui parli siano le mie labbra,
che la bocca con cui comunichi sia la mia bocca,
che la lingua con cui pronunci le parole sia la mia lingua!"

Quindi cantiamo ritmicamente, da lento a sempre più veloce: "[Nome della Divinità Patrono], entra in me! [Nome]! [Nome]! [Nome]!"

Ripetiamo incessantemente questa frase, con tutto il pathos e la concentrazione che abbiamo in corpo, senza farci distrarre un secondo da pensieri o da ciò che ci circonda, tenendo fisso lo sguardo sul sigillo/statua/fiamma della candela.

Questo canto ritmico può essere associato ai tamburi, che come detto prima sono un ulteriore canale uditivo.

Mentre chiamiamo e mantieniamo l'attenzione visiva, concentriamoci al contempo anche sulle nostre sensazioni: stiamo avvertendo dei cambiamenti?
Vi possono essere mutamenti nelle sensazioni, ma fintanto che il cambiamento che percepiamo non è l'unione, non è la possessione, dobbiamo continuare a ripetere e ripetere e ripetere. I segnali come sensazioni diverse, formicolii, modifiche della fiamma della candela, nella percezione della temperatura, voci, visioni, ecc. sono tutti segni che stiamo procedendo bene, ma non sono il "fine" dell'invocazione.

Come detto prima, infatti, "la richiesta che si fa durante un'invocazione deve continuare anche oltre i primi segnali, deve arrivare perlomeno fino a un momento in cui percepiamo le cose in maniera intuitiva, senza l'ausilio del pensiero, come se ci fossero infuse, come se avessimo già le risposte a tutti i nostri interrogativi, come se le conoscessimo intuitivamente, insomma un momento dove possiamo perlomeno sentire una unione parziale di coscienze, un accesso iniziale alla coscienza dell'altra Entità. Se possibile, però, dovremmo spingerci anche oltre questo punto, molto oltre. Il limite massimo nel quale ci fermeremo sarà o l'esaurimento totale (non parziale, perchè sicuramente chiamare e chiamare e chiamare è un lavoro faticoso e se ci fermiamo appena siamo stanchi non arriveremo mai al punto di far scendere in noi la Divinità) o la possessione, cioè il nostro obiettivo."

Quindi continuiamo a ripetere il canto ritmico, se possibile con tamburi africani di sottofondo, rimanendo concentrati sul punto focale fino all'esaurimento o alla possessione. A costo di restare ore e ore a ripetere, ore e ore non di ripetizione però meccanica, ma sentita, con sentimento, "infiammata", dobbiamo continuare a ripetere e a fissare fino al risultato voluto.

7) Ovviamente mentre ripetiamo e fissiamo il punto focale dobbiamo concentrarci sulle nostre sensazioni, in modo da vedere se si percepiscono differenze.

8) Dopo ore e ore di questo lavoro, non posso dire cosa seguirà. La reazione dipende da persona a persona, da Spirito invocato a Spirito invocato (o nel caso di una Deità, da Divinità chiamata a Divinità chiamata).
D'altra parte, quando riacquisteremo un minimo di lucidità dopo che l'invocazione sarà riuscita, dovremo assolutamente ringraziare per l'esperienza che ci è stata concessa. 
Inoltre, per cercare di tornare nel possesso totale del nostro corpo, reciteremo questa (o una simile creata da noi) formula (al massimo, se servirà, la ripeteremo, ma sempre con il dovuto rispetto!!):

"Grazie, [Nome della Divinità Patrono], per essere entrato/a in me.
Grazie per avermi omaggiato della tua presenza nelle mie umili membra.
Ora, ti prego, fammi tornare nel possesso completo del mio corpo!
Che le labbra di carne che hai mosso tornino ad essere le mie labbra,
che la bocca di carne con cui hai parlato torni ad essere la mia bocca
e che la lingua di carne con cui hai pronunciato le tue parole
torni ad essere la mia lingua."

9) Ringraziamo nuovamente, permettiamo all'Entità di andare, chiediamole di vegliare su di noi, spegniamo la candela e lasciamo consumare l'offerta (se d'incenso).
In caso di successo, faremo appena potremo, nel più breve lasso di tempo possibile, un rito di offerta o di evocazione con l'intento di ringraziare l'Entità per l'avvenuta invocazione/incorporazione/possessione rituale.